Abstract/Sommario: Lavorare sulla partecipazione sociale di adolescenti autistici è tra gli obiettivi fondamentali al fine di migliorarne la Qualità della Vita e una delle sfide più interessanti e complesse. Per quanto sia evidente nel Progetto di Vita di ognuno, le occasioni di partecipare alla vita sociale o meramente a quelle del territorio spesso sono esigue. Il trattamento delle abilità sociali è una delle aree più richieste per soddisfare un bisogno delle persone autistiche ad alto funzionamento, q ...; [Leggi tutto...]
Lavorare sulla partecipazione sociale di adolescenti autistici è tra gli obiettivi fondamentali al fine di migliorarne la Qualità della Vita e una delle sfide più interessanti e complesse. Per quanto sia evidente nel Progetto di Vita di ognuno, le occasioni di partecipare alla vita sociale o meramente a quelle del territorio spesso sono esigue. Il trattamento delle abilità sociali è una delle aree più richieste per soddisfare un bisogno delle persone autistiche ad alto funzionamento, quello di vivere in maniera positiva e serena le relazioni. Per rispondere a questo bisogno, la Cooperativa Fabula ha attivato un progetto, “Tempo libero insieme”, atto a fornire una guida pratica e facilmente comprensibile ai ragazzi autistici con un funzionamento più elevato (livello 1 di autismo secondo il DSM 5), in età adulta-tardo adolescenziale dai 15 anni in poi. Un gruppo di 9 ragazzi autistici (8 maschi e 1 femmina) si incontrano 1 volta al mese per 3 ore il sabato pomeriggio a Milano e durante questo incontro, insieme a educatori e psicologi specializzati, lavorano per sviluppare e potenziare abilità fondamentali. Questo progetto si pone come un percorso abilitativo di apprendimento di abilità sociali, in modo da migliorare l’adattamento e la qualità di vita delle persone autistiche, sperimentando interazioni sociali gradite, permettendo una maggior possibilità di inserirsi nel mondo e di stare bene.
Abstract/Sommario: Esiste, tra le altre, una barriera all’inclusione sociale di cui si parla poco: i comportamenti problema. La presenza di comportamenti problema nell’abituale repertorio comportamentale di una persona è il limite più grande e la barriera più importante a percorsi di inclusione: non si parla solamente di aggressività eterodiretta o autodiretta, ma anche di stranezze, bizzarrie e/o modalità comportamentali abituali nel repertorio della persona che possano generare paura, timore, diffidenz ...; [Leggi tutto...]
Esiste, tra le altre, una barriera all’inclusione sociale di cui si parla poco: i comportamenti problema. La presenza di comportamenti problema nell’abituale repertorio comportamentale di una persona è il limite più grande e la barriera più importante a percorsi di inclusione: non si parla solamente di aggressività eterodiretta o autodiretta, ma anche di stranezze, bizzarrie e/o modalità comportamentali abituali nel repertorio della persona che possano generare paura, timore, diffidenza o preoccupazione negli altri. In taluni casi quello sui problemi comportamentali è l’unico intervento che può costituire i prerequisiti e rimuovere le barriere a una reale inclusione sociale, ma è sempre bene ricordare che qualunque intervento su problemi comportamentali: deve essere il risultato di attente analisi e considerazioni; deve prevedere un programma scritto e dettagliato; deve seguire i principi del trattamento meno restrittivo; deve prevedere un avallo dell’equipe tecnica multidisciplinare e del medico responsabile; deve prevedere frequenti verifiche e controlli.
Abstract/Sommario: La testimonianza di un incontro felice, orientato alla qualità della vita delle persone con disabilità. Familiari, Sacerdoti, Animatori, Religiose, Commercianti, Forze dell’Ordine. Una comunità che intende camminare unita, tenendo per mano i cittadini più fragili. Negli ultimi trent’anni, chi si è trovato ad operare all’interno del mondo della disabilità ha assistito all’evoluzione di differenti concetti che hanno rappresentato il modo con cui si definivano le persone interessate (hand ...; [Leggi tutto...]
La testimonianza di un incontro felice, orientato alla qualità della vita delle persone con disabilità. Familiari, Sacerdoti, Animatori, Religiose, Commercianti, Forze dell’Ordine. Una comunità che intende camminare unita, tenendo per mano i cittadini più fragili. Negli ultimi trent’anni, chi si è trovato ad operare all’interno del mondo della disabilità ha assistito all’evoluzione di differenti concetti che hanno rappresentato il modo con cui si definivano le persone interessate (handicappate, diversamente abili, persone con disabilità) e il pensiero teorico ed operativo che muoveva le politiche e le azioni a loro favore. Così, se negli anni ’70 la parola d’ordine era inserimento, alla fine degli anni ’80 si è passati a integrazione. Da pochi anni, in maniera piuttosto esplicita, grazie alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità approvata nel 2007, si è assistito ad un nuovo cambio: la nuova parola d’ordine è ora (finalmente) diventata inclusione. In questo intervento viene presentato in progetto “ConTEsto”: gli organizzatori ritengono che la prima importante azione di cambiamento da promuovere sia smuovere lo sguardo, raccogliere giudizi, pregiudizi talvolta consapevoli talvolta inconsapevoli, che spesso diventano le prime barriere culturali per un processo di effettiva inclusione. Il percorso prevede step di intervento progressivi in cui, accanto a momenti informativi, seguiranno momenti formativi che si potranno diluire nel corso dell’anno al fine di garantire agli attori e ai destinatari del percorso spazi attivi di riflessività, consapevolmente esperita, come antidoto efficace per mantenersi capaci di agire nei propri contesti di intervento in modo facilitante e non da ostacolo.
Abstract/Sommario: Bisogna passare dal "diritto di indipendenza" ai "bisogni di appartenenza" delle persone con disabilità: è la provocazione della Conferenza Episcopale Italiana, ma già Edgar Morin diceva che il problema maggiore del nostro tempo non è libertà ma la fraternità. In un momento di innovazione del welfare come quello che stiamo vivendo, dal PNRR alla Delega sulla Disabilità, una riflessione che cambia la prospettiva. Per promuovere la vita indipendente e l’inclusione sociale delle persone c ...; [Leggi tutto...]
Bisogna passare dal "diritto di indipendenza" ai "bisogni di appartenenza" delle persone con disabilità: è la provocazione della Conferenza Episcopale Italiana, ma già Edgar Morin diceva che il problema maggiore del nostro tempo non è libertà ma la fraternità. In un momento di innovazione del welfare come quello che stiamo vivendo, dal PNRR alla Delega sulla Disabilità, una riflessione che cambia la prospettiva. Per promuovere la vita indipendente e l’inclusione sociale delle persone con disabilità non dobbiamo fare a meno dei servizi o smantellarli. Dobbiamo invece valorizzare la loro esperienza. Integrandoli, arricchendoli, anche riqualificandoli. Vita indipendente non significa solo “mettere a tetto” una persona. Non solo non basta un posto letto, ma non basta neanche tutta una casa. Perché l’indipendenza di una persona non può realizzarsi senza concepire e costruire luoghi che favoriscano l’incontro e la relazione tra le persone e che trasmettano e facciano sentire alla persona la possibilità di sentirsi ed essere parte di un mondo ed un universo più largo di quello della sua vita individuale. Sentendosi parte attiva di una comunità e prendendo parte attivamente, nei limiti delle possibilità di ciascuno di noi, alla comunità ed alla sua vita.
Abstract/Sommario: In ogni comunità, in quanto naturale contesto coabitativo di persone diverse tra loro, la partecipazione alla vita sociale si è sempre rivelata un processo tutt’altro che scontato. La storia delle società umane documenta come i vari modelli attraverso cui gli esseri umani hanno ricercato la convivenza, non siano riusciti a far superare la più atavica delle reazioni istintive umane. La paura del diverso. La nostra mente associa il concetto di diversità a quelli di estraneità. Di fronte ...; [Leggi tutto...]
In ogni comunità, in quanto naturale contesto coabitativo di persone diverse tra loro, la partecipazione alla vita sociale si è sempre rivelata un processo tutt’altro che scontato. La storia delle società umane documenta come i vari modelli attraverso cui gli esseri umani hanno ricercato la convivenza, non siano riusciti a far superare la più atavica delle reazioni istintive umane. La paura del diverso. La nostra mente associa il concetto di diversità a quelli di estraneità. Di fronte a persone e cose non conosciute noi cerchiamo prima di tutto di mettere distanza. Stare lontani è un meccanismo di difesa che ci fa stare più sicuri. Nemmeno il ricorso ai trattati sui diritti umani, pensati per far fronte al prevalere delle intolleranze verso chi è percepito diverso, sembra ancor oggi sufficiente ad assicurare a tutte le persone le pari opportunità e l’accesso ai processi partecipativi ai luoghi di vita sociale. Questo, nonostante le varie Convenzioni promosse dalle Nazioni Unite siano state sottoscritte dalla maggioranza degli Stati membri. Il contributo si pone quale riflessione sul nodo che si ritiene essere ancora pesantemente influente nei confronti delle auspicabili forme inclusive di convivenza sociale. Perché si abbia partecipazione occorre che si verifichi in primo luogo il superamento di tutti i fenomeni che creano distanze tra gli individui a cominciare dalle paure delle diversità. Solo così la partecipazione si configura come un far parte, e cioè come un'appartenenza che abilita ad agire sul piano decisionale. Una tematica tornata prepotentemente attuale in Europa e nel nostro Paese.
Abstract/Sommario: Studi sulla Qualità della Vita delle Famiglie di PcD (FQOL-Family Quality Of Life) indicano che il nucleo familiare in cui nasce un bambino con disabilità potrebbe presentare un più alto livello di vulnerabilità, che può trasformarsi in un alto livello di stress se non si incontrano servizi accoglienti e in ascolto. La diagnosi di disabilità del proprio figlio è un evento che costringe tutto il sistema familiare a trovare nuovi equilibri sia per la coppia genitoriale, sia nei confronti ...; [Leggi tutto...]
Studi sulla Qualità della Vita delle Famiglie di PcD (FQOL-Family Quality Of Life) indicano che il nucleo familiare in cui nasce un bambino con disabilità potrebbe presentare un più alto livello di vulnerabilità, che può trasformarsi in un alto livello di stress se non si incontrano servizi accoglienti e in ascolto. La diagnosi di disabilità del proprio figlio è un evento che costringe tutto il sistema familiare a trovare nuovi equilibri sia per la coppia genitoriale, sia nei confronti degli altri figli. È forte il senso di solitudine dinnanzi a scelte non solo rispetto al qui e ora, ma che avranno ripercussioni sul futuro, sull’intero ciclo di vita del proprio figlio, e non sempre la loro rete sociale è in grado di supportarli. Casa Gioia è una realtà nata a Reggio Emilia nel 2017, allo scopo di offrire servizi educativi personalizzati basati sulla scienza ABA di terza generazione, Mindfulness e psicoterapia per bambini a partire dai due anni di vita fino a giovani adulti. “Pensare il gruppo” e “Pensare l’organizzazione” sono due progetti che si stanno attualmente realizzando presso Casa Gioia, entrambi contraddistinti dall’utilizzo del gruppo come dispositivo di pensiero, riflessione, apprendimento. Accanto al gruppo di lavoro e all’organizzazione tutta, nella sua complessità, viene posta la dovuta attenzione un terzo elemento: i familiari, genitori soprattutto, dei bambini/e, ragazzi/e con disabilità che frequentano Casa Gioia.
Abstract/Sommario: Per le persone con disabilità, intellettive e/o del neurosviluppo, la partecipazione assume dei connotati particolari principalmente a causa del fatto che le persone con questa tipologia di disabilità possono avere necessità di sostegni specifici, di natura ed estensione molto variabile, per esercitare la partecipazione nei diversi contesti ed anche a causa del fatto che, principalmente a causa del permanere di modelli di disabilità obsoleti e dello stigma nei loro confronti, esistono ...; [Leggi tutto...]
Per le persone con disabilità, intellettive e/o del neurosviluppo, la partecipazione assume dei connotati particolari principalmente a causa del fatto che le persone con questa tipologia di disabilità possono avere necessità di sostegni specifici, di natura ed estensione molto variabile, per esercitare la partecipazione nei diversi contesti ed anche a causa del fatto che, principalmente a causa del permanere di modelli di disabilità obsoleti e dello stigma nei loro confronti, esistono una serie di barriere di diversa natura (incluse barriere attitudinali) che determinano una violazione del diritto umano di queste persone alla partecipazione e, di conseguenza, esistono una serie di discriminazioni in tal senso. Il diritto alla partecipazione delle persone con disabilità si lega, e probabilmente si poggia, sul diritto all’autodeterminazione ed autorappresentanza. Partecipazione e disabilità intellettiva non rappresentano quindi, come enunciato con un interrogativo nel titolo di questo articolo, un binomio impossibile. Rappresentano più che altro un diritto che pone professionisti, ricercatori, famiglie, organizzazioni, istituzioni, comunità tutta di fronte alla sfida del costruire, sperimentare e mettere in atto tutti i sostegni necessari affinchè a ciascuna persona sia garantita la possibilità di partecipare nella massima misura possibile. Riconoscere che la partecipazione, così come l’autodeterminazione, non riguarda solo le abilità delle persone, ma anche le opportunità che le stesse hanno di partecipare e pertanto agire per potenziare nella massima misura possibile tali opportunità.
Abstract/Sommario: Di “social economy” (che non è esattamente “economia civile”, ma quantomeno né è una parte) si è cominciato a parlarne seriamente anche nel Parlamento Europeo che ha poi portato la Commissione a produrre nel dicembre del 2021 un action plan sulla social economy ed a prevedere uno stanziamento di risorse consistenti che possano fare da volano a questo modello. Economia civile vuol dire innanzitutto uscire da questo dualismo: sviluppo economico contrapposto a sviluppo sociale e umano. Tr ...; [Leggi tutto...]
Di “social economy” (che non è esattamente “economia civile”, ma quantomeno né è una parte) si è cominciato a parlarne seriamente anche nel Parlamento Europeo che ha poi portato la Commissione a produrre nel dicembre del 2021 un action plan sulla social economy ed a prevedere uno stanziamento di risorse consistenti che possano fare da volano a questo modello. Economia civile vuol dire innanzitutto uscire da questo dualismo: sviluppo economico contrapposto a sviluppo sociale e umano. Transizione digitale ed ambientale contrapposta alla fruibilità da parte di tutte e tutti. In sintesi, uscire da un modello di sviluppo che porta ad una crescita endemica delle diseguaglianze. Si è cercato di intervenire su questo sistema con alcune leve legislative, si pensi tra tutte all’inserimento obbligatorio delle categorie certificate. Ma poi quello che succede è che le imprese spesso preferiscono pagare la multa che effettuare l’inserimento. Le imprese sociali sono un luogo unico e straordinario per la partecipazione e l’inclusione di persone con disabilità o fragilità di varia natura, perché il tema non è dover espletare una quota burocratica di inserimenti “protetti”, ma entrare a fare parte di una vera e propria “impresa collettiva”. È richiesto un cambiamento culturale profondo perché l’economia non è più solo una faccenda per pochi, ma riguarda tutti.
Abstract/Sommario: Negli ultimi anni l’applicazione del costrutto della Qualità della vita (QdV) nell’ambito della disabilità ha spostato l’attenzione dagli esiti degli interventi abilitativi, riabilitativi e assistenziali secondo la logica della guarigione, ad un approccio che orienta i sostegni verso esiti (outcome) di inclusione e partecipazione. In quest’ottica, i modelli di Qualità della vita si sono affermati sia come cornice teorica e strumento di sensibilizzazione per operatori dei servizi alla d ...; [Leggi tutto...]
Negli ultimi anni l’applicazione del costrutto della Qualità della vita (QdV) nell’ambito della disabilità ha spostato l’attenzione dagli esiti degli interventi abilitativi, riabilitativi e assistenziali secondo la logica della guarigione, ad un approccio che orienta i sostegni verso esiti (outcome) di inclusione e partecipazione. In quest’ottica, i modelli di Qualità della vita si sono affermati sia come cornice teorica e strumento di sensibilizzazione per operatori dei servizi alla disabilità e per gli attori sociali (dalle famiglie alle realtà istituzionali socio-sanitarie), sia come paradigma per orientare i processi gestionali e come indice di misura della qualità delle azioni di sostegno attuate e dell’efficacia dei Servizi. Il concetto chiave di questo nuovo approccio culturale, politico e giuridico basato sui diritti umani non è quindi quello di cambiare le modalità di presa in carico o di assistenza, ma riguarda il come intendere le persone con disabilità, le quali passano da essere soggetti da assistere a essere cittadini. Ed è proprio con l’idea di perseguire il valore sociale della disabilità, che prende forma la proposta progettuale condivisa dal gruppo di lavoro multidisciplinare del Centro Agricolo Residenziale “Mario e Marie Gianinetto” gestito dalla Cooperativa Sociale Integrazione Biellese – Anffas. Complessivamente, tutte le attività sono volte a riconoscere alla persona con disabilità lo status di “Persona adulta” e mirano ad aumentare il grado di autodeterminazione ed empowerment, promuovendo una partecipazione sia alle attività di vita quotidiana e domestica, sia in attività di agricoltura sociale, al fine di favorire il benessere e una maggiore autonomia dei partecipanti.
Abstract/Sommario: Per le Persone con Disabilità Intellettiva l’attività fisica ricopre un duplice ruolo: da una parte è strumento riabilitativo e dall’altra è promotore dello sviluppo sia fisico che psicologico, andando ad accrescere, oltre che la tenuta muscolare ed aerobica, anche un maggiore senso di sé, di autostima e di capacità relazionali all’interno di un contesto sociale. L’attività fisica promuove inoltre quelle che sono le autonomie personali, dalla capacità di prendersi cura di se stessi, de ...; [Leggi tutto...]
Per le Persone con Disabilità Intellettiva l’attività fisica ricopre un duplice ruolo: da una parte è strumento riabilitativo e dall’altra è promotore dello sviluppo sia fisico che psicologico, andando ad accrescere, oltre che la tenuta muscolare ed aerobica, anche un maggiore senso di sé, di autostima e di capacità relazionali all’interno di un contesto sociale. L’attività fisica promuove inoltre quelle che sono le autonomie personali, dalla capacità di prendersi cura di se stessi, della propria salute, fino all’autocontrollo personale, aree spesso deficitarie nelle Persone con Disabilità. Nelle Persone con Disabilità in comorbilità con disturbo dello spettro autistico, ad esempio, vi è un forte rischio di inattività e obesità. L’attività fisica per una persona con autismo può rappresentare, quindi, oltre ad una sana abitudine, anche un’importante occasione per lo sviluppo di abilità funzionali proprio nelle aree che risultano maggiormente compromesse dal disturbo: l’area della comunicazione, quella dell’interazione sociale, degli interessi e del comportamento in genere. Anche i bambini affetti da ADHD (Disturbi da deficit dell’attenzione ed iperattività) possono trarre importanti benefici dall’attività sportiva. I risultati delle ricerche disponibili sembrano dunque supportare l’evidenza dei benefici dell’attività sportiva anche nelle Persone con Disabilità Intellettiva e il fatto che la promozione di essa e dello sport/esercizio fisico può contribuire a migliorare i livelli di QdV e ridurre le disuguaglianze da loro sperimentate.