Abstract/Sommario: Troveremo il passaggio a nord ovest che la crisi pandemica reclama nella gestione dei modelli assistenziali soltanto se, come società civile, saremo capaci, tutti insieme, di metterci in gioco su due fronti. Alla politica e alle istituzioni il non profit, quello autentico, deve chiedere anzitutto un riconoscimento senza condizioni della sua vocazione sussidiaria per il bene comune. La politica e le istituzioni, a loro volta, devono convincersi che è venuta davvero l’ora di privilegiare ...; [Leggi tutto...]
Troveremo il passaggio a nord ovest che la crisi pandemica reclama nella gestione dei modelli assistenziali soltanto se, come società civile, saremo capaci, tutti insieme, di metterci in gioco su due fronti. Alla politica e alle istituzioni il non profit, quello autentico, deve chiedere anzitutto un riconoscimento senza condizioni della sua vocazione sussidiaria per il bene comune. La politica e le istituzioni, a loro volta, devono convincersi che è venuta davvero l’ora di privilegiare, rispetto a quelli attuali tipicamente verticali, modelli di sussidiarietà orizzontale nei quali la regola non siano la delega e il finanziamento dall’alto, ma la coprogettazione e la condivisione della strategia di utilizzo delle risorse. Anche attraverso una normativa nazionale sull’integrazione e la non autosufficienza. Solo così potranno essere superate le situazioni di competizione opportunistica che a fasi alterne caratterizzano le politiche di approvvigionamento del personale e solo in questo modo potrà essere risolta la cronica opposizione culturale tra pubblico e privato nella gestione dei servizi sanitari e socio-sanitari. La coprogettazione e la condivisione consentiranno di superare il solo apparente conflitto tra domiciliarità e RSA nella gestione dei servizi assistenziali agli anziani.
Abstract/Sommario: La “collocazione” familiare e sociale degli anziani nel nostro Paese è un problema ormai presente da quando si è prolungata l’età media e ha assunto tinte spesso drammatiche nel corso della pandemia da Coronavirus. Non tanto o non solo per il numero di anziani deceduti quanto piuttosto per i criteri selettivi che sono stati avanzati nei confronti della loro cura. L’età media si è notevolmente allungata e oggi abbiamo persone come Papa Francesco con i suoi 83 anni, Joe Biden con 78 e il ...; [Leggi tutto...]
La “collocazione” familiare e sociale degli anziani nel nostro Paese è un problema ormai presente da quando si è prolungata l’età media e ha assunto tinte spesso drammatiche nel corso della pandemia da Coronavirus. Non tanto o non solo per il numero di anziani deceduti quanto piuttosto per i criteri selettivi che sono stati avanzati nei confronti della loro cura. L’età media si è notevolmente allungata e oggi abbiamo persone come Papa Francesco con i suoi 83 anni, Joe Biden con 78 e il record della regina Elisabetta con 94 anni. Tutte persone lucidissime che reggono le sorti di ampi spaccati del mondo. Eppure le persone anziane continuano a costituire un problema. Purtroppo una delle proposte, è stata quella di escluderli dalle terapie intensive di fronte alla scarsità delle stesse, per far posto ai giovani. Si tratta della rivisitazione, adattata alle attuali contingenze del classico problema bioetico delle microallocazione delle risorse. Di fronte al numero esiguo di risorse quali devono essere le priorità? L’Accademia svizzera per le Scienze Mediche in collaborazione con la Società Svizzera di Medicina Intensiva ha pubblicato un documento contenente alcuni principi e le conseguenti linee-guida che è stato molto discusso dal punto di vista etico. Occorre una paziente opera formativa, una “geragogia” che insegni a invecchiare non solo a chi è già anziano, ma anche al giovane che prima o poi lo sarà anche lui.